Il processo di riconciliazione sudafricano è noto per la sua innovazione nel procedimento che è stato adottato, ovvero perdonare affrontando il passato e il dolore attraverso il confronto e la condivisione dell’esperienza di questo, ma anche per l’insegnamento che ci ha lasciato in eredità. Porre al centro la collettività e la ricerca dell’umanità è la base di un processo come questo, è un esempio e una guida per chi sceglie di percorrere la via della costruzione della pace.
Introduzione
Attraverso questo breve contributo vorrei rendere partecipi i lettori di un’esperienza che mi ha segnata profondamente, dal punto di vista professionale e formativo, che ha consolidato gli obiettivi che mi hanno spinta a percorrere il cammino di costruzione della pace. La scelta di studiare comunicazione e lo studio del processo di riconciliazione sudafricano ben si associano per via dell’elemento che ritengo caratterizzi questo processo e che ho cercato di presentare di seguito. Si tratta della condivisione delle storie che si sono intrecciate nel tempo senza incontrarsi mai veramente, prima di essere raccontate nelle udienze tenute dalla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, che hanno permesso di perdonare e costruire un nuovo Sudafrica. In particolare, mi occupo di comunicazione internazionale e interculturale presso l’Università Pontificia Salesiana, dove sto terminando una tesi dal titolo L’apartheid e la riconciliazione in Sudafrica. Un’esperienza sul campo. I miei studi, da sempre focalizzati sulla comunicazione e sulla pace, mi hanno condotto a svolgere una ricerca qualitativa su uno dei processi di riconciliazione più famosi al mondo; per comprendere a fondo in che modo l’assenza di dialogo possa trasformarsi in un dialogo, che ha permesso di perdonarsi a vicenda e andare avanti. Approfondire il percorso svolto da questo Paese ha segnato per me un cammino dedicato alla promozione del dialogo e della pace, che ho intrapreso attraverso la fondazione di una associazione – “Peace Words” – e attraverso un primo progetto, entrando a far parte del comitato “Media for Peace”, di recente creazione, insieme a “Signis Services Rome” e “Africasfriends”. Vorrei fare una breve contestualizzazione focalizzata sugli aspetti salienti, dal mio punto di vista e per quanto riguarda la mia ricerca, dell’argomento che di seguito presento.
Il Sudafrica
Vent’anni fa il Sudafrica affrontava le sue prime elezioni democratiche, nell’aprile del 1994, in cui Nelson Mandela veniva eletto come primo presidente nero del Paese, e tutti celebravano la fine del regime dell’apartheid. Come sappiamo un processo di transizione alla democrazia è sempre complesso e, soprattutto, sanare tutte le ferite lasciate da una condizione di oppressione protratta a lungo richiede tempo. Il presidente Nelson Mandela e l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu hanno svolto un ruolo cardine nel percorso che il Sudafrica ha affrontato, in quanto hanno promosso fortemente una via alternativa a quelle fino ad allora adottate per risolvere i conflitti. Infatti, pur avendo utilizzato la formula delle Commissioni per la Verità, usate sin dagli anni Ottanta come sistema per far fronte alla situazione in cui si trovavano Paesi che avevano vissuto sotto un regime dittatoriale o avevano affrontato una guerra o un conflitto interno – come ad esempio l’Argentina, il Cile, il Guatemala tra quelli più noti –, l’esperienza sudafricana è stata unica. Per la prima volta, la giustizia occidentale, prevalentemente retributiva, in cui il criminale paga per il suo crimine, si univa al metodo tradizionale africano di risoluzione dei conflitti, in cui la collettività intera viene coinvolta nel processo di riconciliazione in modo partecipativo e sentito. Il Sudafrica aveva scelto di raccontarsi e perdonare, affrontando consapevolmente il suo passato. La parola ubuntu, che significa “io sono perché noi siamo”, era stata usata nella Costituzione Transitoria approvata nel 1993, prima ancora che avvenissero le prime elezioni democratiche, che aveva il compito di guidare la riconciliazione sudafricana. La persona si identifica nella collettività e questa può esistere solo in quanto gli individui si sentono parte di essa in modo partecipativo. La condivisione di ogni cosa, materiale o immateriale, è alla base di questo concetto di insieme che, al contrario dell’apartheid, guidata da un’idea di esclusione e separazione, è inclusivo e unisce affinché la collettività stessa possa esistere. Nella parte della Costituzione Transitoria dedicata all’Unità Nazionale e la Riconciliazione (National Unity and Reconciliation) quest’aspetto veniva sottolineato. Questa Costituzione fornisce un ponte storico tra il passato di una società profondamente divisa caratterizzata da lotte, conflitti, sofferenze indicibili e ingiustizia, e un futuro fondato sul riconoscimento dei diritti umani, della democrazia e della pacifica coesistenza e opportunità di sviluppo per tutti i sudafricani, indipendentemente da colore, razza, classe, credo o sesso. La ricerca di unità nazionale, il benessere di tutti i cittadini del Sudafrica e la pace richiedono la riconciliazione tra la gente del Sudafrica e la ricostruzione della società. L’adozione di questa Costituzione pone le basi sicure per la gente del Sudafrica di superare le divisioni e le lotte del passato, che hanno generato gravi violazioni dei diritti umani, la trasgressione dei princìpi umanitari nei violenti conflitti e un’eredità di odio, paura, senso di colpa e vendetta. Queste cose possono ora essere trattate sulla base del fatto che vi è la necessità di comprensione ma non per vendetta, un bisogno di riparazione ma non per ritorsione, la necessità di ubuntu ma non per persecuzione . (South African Interim Constitution, 1993)
Un’esperienza da condividere
La mia esperienza personale in Sudafrica mi ha permesso di comprendere come una società che attraversa una transizione da un conflitto debba focalizzarsi sulla comprensione delle esperienze che questo conflitto ha generato. L’idea che la Commissione aveva era di cercare di superare le tensioni e di trovare un modo innovativo per curare la memoria sudafricana, lacerata da decenni di divisioni. Lo storytelling è stato uno strumento molto efficace per via dell’idea che vi è alla base: l’incontro con “l’altro”, partendo da una prospettiva di condivisione di un passato comune, di conflitto e di dolore causato da questo, e il desiderio di costruire un nuovo Sudafrica lasciandosi alle spalle le divisioni e perdonando. Tutto ciò era racchiuso nel modo in cui la Commissione per la Verità e la Riconciliazione aveva deciso di affrontare la sfida che la attendeva. Infatti, la riconciliazione di per sé dovrebbe essere qualcosa che possiamo porre a un livello prepolitico, a un livello più umano. In particolare, si tratta di qualcosa che coinvolge le persone a ogni livello del tessuto sociale, perché avvenga realmente un cambiamento. Il perdono è un elemento fondamentale perché tale processo possa avvenire. La Commissione aveva impostato il processo di riconciliazione in modo tale che entrambe le parti potessero raccontare la loro storia, riguardo agli accaduti. Questo consentiva di vedersi attraverso gli occhi dell’altro, di comprendere o comunque di riuscire a raggiungere uno stato di “pace” sapendo cosa fosse realmente accaduto, allo stesso tempo consentiva a chi avesse commesso un crimine di capire il dolore che aveva provocato e di immedesimarsi in chi provava tale sofferenza. La condivisione di una storia permette di creare empatia rispetto alle emozioni che vengono espresse attraverso il suo racconto e facilita l’avvicinamento di chi ascolta alla persona che narra. Il perdono si pone quindi come conseguenza di una comprensione profonda del contesto, della persona che si ha accanto. Se l’apartheid aveva de-umanizzato i sudafricani, il processo di riconciliazione che hanno affrontato ha restituito loro l’umanità che gli era stata tolta. La mia ricerca su questo tema si è focalizzata su come la situazione si è sviluppata dopo il 1998, quando la Commissione per la Verità e la Riconciliazione ha ufficialmente chiuso i lavori e ogni associazione o ente che si occupasse di questo tema ha dovuto portare avanti questo difficile compito per conto proprio. Tutto ciò è stato possibile grazie alle basi poste dalla Commissione, permettendo a tutti i cittadini sudafricani di guardarsi gli uni con gli altri per la prima volta attraverso una nuova prospettiva. Il superamento della dicotomia noi-voi, per una forma più inclusiva di considerarsi, attraverso l’enfatizzazione dell’idea di nazione arcobaleno, di nuovo Sudafrica, era stata una strategia vincente, ma sulla quale si è dovuto continuare a lavorare negli anni successivi. Il confronto sul dolore che il passato ha causato permette il superamento di questo, e lo si può raggiungere insieme nel momento in cui il dolore viene condiviso. La promozione del dialogo e dell’incontro, in un processo in cui si stimola la partecipazione, permette alle persone di avvicinarsi e conoscere le proprie storie. Il modo in cui i sudafricani hanno posto le basi per un futuro di pace, nonostante le critiche che ha ricevuto, è oggi un esempio studiato da coloro che cercano di promuovere la pace e la trasformazione dei conflitti.
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