La settima storia di questo nostro progetto, #tellusyorustory ce la racconta Valentina Vergani, una ragazza di origini pugliesi nata e cresciuta a Milano. Anche questa storia ci mostra quanto la violenza nei confronti delle donne possa manifestarsi nelle sue forme più brutali, vergognose e possa giungere a spegnere, anche se solo superficialmente la scintilla negli occhi, come quella che Valentina, in questo caso, aveva. Molte di noi potremo immedesimarci e trovare il coraggio di dire basta, molti di quelli che leggono sentiranno il bisogno di sostenere questa battaglia contro la violenza. Questa storia ci sta particolarmente a cuore perché pur essendo una storia che spezza il cuore, è anche una storia di rivincita e riscatto, una storia che dimostra che possiamo essere ciò per cui lottiamo e ci impegniamo. Né la società con i suoi schemi dominanti, né i pregiudizi possono fermare una persona determinata a cambiare il suo destino e quello di chi sta attorno a lei. La forza interiore di Valentina l’ha portata a rinascere e ritrovare la sua strada e noi le auguriamo tutto il meglio che questa vita può darle, perché lo merita, ma soprattutto la ringraziamo di aver condiviso la sua storia con noi! Siamo sempre più convinti che storie come questa, come quelle che hanno fatto parte di questo progetto siano preziose per il messaggio che viene trasmesso attraverso di esse: comprendere ciò che gli altri vivono è possibile e ognuno di noi può fare la sua parte, ricostruire l’umanità è un percorso di incontro e riconoscimento che ogni storia permette attraverso l’immedesimazione e il confronto attraverso un punto di vista che prima non si concepiva. Di seguito la storia di Valentina.
Ho deciso di raccontare la mia storia attraverso #tellusyourstory perché non sono mai riuscita a denunciare quello che ho subito e la necessità di parlare è diventata una battaglia personale. Voglio ringraziare Peace Words per questa opportunità e supporto questo progetto con tutta me stessa.
Avevo 15 anni, era estate e io uscivo nel parcheggio davanti ad un supermercato con ragazzi più grandi di me. Uno di loro continuava a farmi complimenti..aveva un modo di fare affascinante e aveva qualcosa che mi piaceva. Si parlava spesso di sesso e io per non sembrare “quella più piccola” dicevo di averlo già fatto. Era la prima volta che un ragazzo mi dava attenzioni e non sapevo cosa fare. Dall’età di 5 anni, l’unico uomo della mia vita mi aveva rifiutata come figlia ed essere apprezzata da una figura maschile mi faceva sentire speciale. Un giorno questo ragazzo mi ha chiesto di fare sesso così sono entrata nel panico perché non potevo dirgli che ero ancora vergine, o meglio, avevo paura di perderlo se glielo avessi detto, quindi dovevo trovare un modo per sverginarmi prima di fare sesso con lui. Ho conosciuto un altro ragazzo in quei giorni e dopo 1 settimana gli ho detto che avrei voluto perdere la verginità, così lo ha fatto. Finalmente potevo uscire con quello che mi piaceva ma nel momento in cui ci siamo spogliati si è fermato e mi ha detto: “Ti devo dire la verità..non l’ho mai fatto e questa è la prima volta”. Io non sapevo cosa dire..so soltanto che avrei voluto tirarmi uno schiaffo da sola. Come ho potuto essere così stupida da farmi sverginare da uno sconosciuto per non perderlo? Ovviamente non ho detto nulla..ma da quel giorno è iniziato l’inferno. Mi sentivo obbligata a stare con lui e più passava il tempo, più diventavo ‘cosa sua’. Ero sua e di nessun altro. La sua gelosia aumentava ogni volta che mi facevo bella, ogni volta che qualcuno mi guardava e per punirmi mi prendeva per il collo fino a non toccare il pavimento con i piedi. Calci, schiaffi, insulti, umiliazioni minacce di morte..tutte cose che meritavo perché era colpa mia se lui si arrabbiava. Era diventato anche perverso sessualmente e mi metteva dentro di tutto. Ogni volta che si tirava giù i pantaloni mi veniva da vomitare. Ho imparato così a piangere in silenzio mentre mi scopava. Ogni volta che mi picchiava mi chiedeva di fare sesso e io per paura mi spogliavo senza farmi vedere piangere. Quando saliva sopra di me volevo morire. Non riuscivo a reagire..come se fossi davvero morta. Eppure il sesso nei film era così bello, per me invece era un incubo. Due anni di buio perché non vedevo alternative. Quella era la mia vita e così doveva essere. A scuola avevo conosciuto altre amiche che potevo usare come giustificazione per stare qualche ora lontana da lui. Un giorno però si è arrabbiato e mi ha spinta contro il muro mandandomi all’ospedale. A mia madre e ai medici ho detto una bugia ma poi..quando aspettavo di fare la lastra ho pensato a tutte quelle volte che mi ha detto di volermi ammazzare e che la prossima volta sarei potuta arrivare in ospedale morta.
Così ho confessato a mia madre tutto. Ero minorenne, lui maggiorenne e rischiava parecchio, ma suo padre lavora nelle forze dell’ordine quindi, ha fatto in modo che io non denunciassi nulla. Non avendo un padre, si sentivano entrambi al sicuro, tanto che si è ripresentato sotto casa spingendomi con violenza in macchina dicendomi che non avrei mai più rivisto la mia famiglia né i miei amici. Stava prendendo la superstrada così ho iniziato ad urlare cercando di aprire la portiera della macchina, ma andava troppo veloce e non sono riuscita a scappare. Ho preso il cellulare e ho fatto il numero di mia mamma ma lui si è accorto e si è fermato nella zona industriale accanto alla superstrada. Quando ha cercato di strapparmi il telefono dalle mani ho iniziato a correre per chiedere aiuto ma mi ha raggiunta e mi ha rimessa in auto. Per fortuna mia madre ha risposto proprio in quel momento così lui si è spaventato e ha capito che non avrebbe più potuto fare nulla. Quando mi ha riportata a casa mi tremavano le gambe. Da quel giorno lì non l’ho più visto.
Nello stesso periodo, mia madre aveva chiesto la collaborazione di mio padre, ma davanti agli assistenti sociali mi ha detto che si rifiutava di essere mio padre. I rapporti con mia madre peggioravano di giorno in giorno e avevo voglia solo di urlare. Qualche mese dopo ho conosciuto un altro ragazzo, sempre più grande di me. Era così diverso..bello, educato, gentile..e sembrava un principe azzurro. Credevo di aver trovato l’uomo della mia vita e ho cercato in tutti i modi di rimanere incinta. Lo volevo così tanto che un giorno ho fatto il test di gravidanza e lo ero davvero. La mia reazione però è stata opposta alla felicità perché la realtà era completamente diversa da quella che vedevo nella mia testa. Sua madre mi reputava sbagliata per suo figlio. Io, figlia di divorziati, bocciata a scuola, studentessa di un istituto d’arte non ero abbastanza per essere la madre di suo nipote così è venuta a casa mia e mi ha ordinato di abortire. Lui non ha detto nulla e mia madre neppure. Ho fatto di tutto per tenerlo..ma non abbastanza forse. Ho deciso anche di chiedere l’aiuto di mio padre ma quando ho citofonato mi ha detto: “Non venire mai più sotto casa mia”.
Avevo compiuto 18 anni nel frattempo e ho aspettato fino all’ultimo prima di entrare in ospedale. Dopo l’aborto ho avuto dei dolori atroci all’utero perché era rimasto ancora del materiale dentro, quindi mi hanno operata immediatamente e quella operazione mi ha uccisa dentro. Qualche mese dopo lui mi ha lasciata per un’altra. Mi guardavo allo specchio e mi facevo schifo, non riuscivo a perdonarmi e avevo solo rabbia e odio nel cuore.
Stavo andando a fare la patente quando ho conosciuto un altro ragazzo, sempre più grande di me. Lui mi faceva ridere come nessun altro. Riusciva a farmi divertire dopo anni di lacrime, ma non solo, lui faceva parte di quel mondo chiamato ‘strada’. Un mondo che non conoscevo, ma che mi faceva sentire forte. Potevo sfogare tutta la rabbia e l’odio che avevo dentro e mi sentivo invincibile. La cocaina e l’alcol mi trasformavano lo sguardo e quando mi guardavo allo specchio non vedevo più la vittima indifesa. Lo spaccio, la criminalità mi avevano insegnato il codice d’onore e la legge di strada. Ero completamente cambiata..parlavo in calabrese, i miei occhi erano cattivi.. e tutto ciò mi faceva stare bene. Eravamo sempre insieme e lui si è innamorato. Io non lo volevo ma lui mi considerava sua. Pensavo che la gente rispettasse me..in realtà mi rispettava pensando fossi la ‘sua donna’, perché era così che mi chiamava. Litigavamo spesso fino ad arrivare alle mani. Io però ero sotto effetto della cocaina quindi reagivo e picchiavo. Avrei potuto scegliere di non vederlo più ma ogni volta che reagivo ai suoi calci e ai suoi insulti mi sentivo forte. La situazione peggiorava e lui mi seguiva ovunque. Si metteva sotto casa per vedere con chi uscivo e una sera mi ha inseguita per tutto il paese in macchina chiamandomi puttana. Così ho iniziato a correre per cercare aiuto. Mentre correvo piangevo e quando sono arrivata in una piazzetta dove c’era gente che avrebbe potuto aiutarmi, non sono riuscita a parlare perché non avevo più forze. Lui è sceso dalla macchina giustificandosi con una storia inventata dicendo che io ero la sua ragazza e lo avevo tradito. Ha iniziato a sputarmi addosso prendendomi a calci sulle ginocchia e la gente invece che difendermi, mi guardava come se fossi una puttana che meritava di essere in quella situazione. Io ero talmente stremata che quando è arrivata la polizia locale chiedendo se fosse necessario un intervento, io non sono riuscita a parlare e la gente ha risposto “No, è tutto ok”, così la polizia è andata via. Solo uno dei presenti ha avuto pena e mi ha portata a casa!
Il giorno dopo volevo vendicarmi e aprendo un armadio ho trovato un bastone di acciaio. Mi aveva insegnato lui a farlo..così sono andata sotto casa sua e l’ho fatto scendere. Sapevo che non sarei mai riuscita ad ammazzarlo di botte e che lo avrebbe fatto lui, ma dovevo farlo per me stessa. Quando è sceso, l’ho portato in una via. Sapevo che mi avrebbe preso il bastone..e così ha fatto. Sono tornata a casa zoppicando..ma quando mi sono guardata allo specchio ho sorriso. Ero orgogliosa di me perché ho combattuto e non ero più vittima. Da quel giorno non l’ho più cercato, né lui ha più cercato me.
Io mi sono iscritta a thai boxe e all’università. Volevo fare psicologia, ma non ho passato il test, così per non perdere l’anno mi sono iscritta a sociologia. Non sapevo neanche cosa fosse ma poi ho scoperto che era esattamente ciò che stavo cercando. Si parlava di Africa per spiegare il mondo e io avevo la necessità di capire. Così, lo stesso anno, sono partita per il Togo. Quando sono arrivata, ho percepito qualcosa che mi ha cambiato il futuro e ho iniziato a combattere per il mondo. Ho visto la stessa resilienza negli occhi di chi avevo davanti e sono tornata in Europa con la voglia di cambiare un sistema sbagliato. Così sono andata a Londra per imparare l’inglese, mentre studiavo sociologia a Milano. Ho conosciuto il responsabile di un progetto in Palestina proprio in uno ostello e con lui sono partita per il Medio Oriente. In quella terra ho visto la stessa voglia di resistere e combattere, così sono tornata in Europa, ho sospeso sociologia in Italia per iniziare Scienze politiche e relazioni internazionali in Inghilterra. Oggi sono laureata e ho iniziato la carriera da giornalista. Non passerà mai il dolore del passato, ma oggi ringrazio chi mi ha fatto del male. La tripla R che ho tatuata significa RESILIENZA, RESISTENZA e RIVOLUZIONE perché rappresentano il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
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